GLI STADI DELLA VITA
L’esistenza è il regno della libertà: l’uomo è ciò che sceglie di essere, è quello che diventa. Ci sono tre alternative fondamentali nella vita umana: lo stadio estetico, quello etico e quello religioso. Tra uno stadio e l’altro vi è un salto e un abisso; ognuno di essi rappresenta un’alternativa che esclude l’altra.
LO STATO ESTETICO
Nello stadio estetico l’esteta è colui che vuole vivere nell’attimo, cercando do coglierne la pienezza. Egli intende fare della sua vita un’opera d’arte, da cui sia bandita la noia, la tristezza, la monotonia. "Godi la vita e vivi il tuo desiderio", dice l’estetica, che trova il suo modello nella figura del Don Giovanni (cfr. il Diario di un seduttore, che è uno dei capitoli di Aut aut, 1843), il quale sa porre il suo godimento nella limitazione e nell’intensità dell’appagamento. In questo stadio però non è possibile, secondo Kierkegaard, né scelta autentica né libertà: infatti l’esteta lascia alle circostanze decidere per lui. Inoltre l’ultimo sbocco della vita estetica è la disperazione. Essa sorge dall’aver voluto basare la vita solo su se stesso e non sugli altri e su Dio. "Chiunque vive esteticamente è disperato, lo sappia o non lo sappia; anzi, forse più di ogni altro è disperato colui che non sente in sé nessuna disperazione". Ma se la radice della disperazione sta nel volersi accettare dalle mani di Dio, allora è chiaro che l’esistenza autentica è quella disponibile all’amore di Dio, quella di colui che non crede più a se stesso ma soltanto a Dio.
LA VITA ETICA
Vi è poi la vita etica: essa implica una stabilità e una continuità che la vita estetica, come incessante ricerca della varietà, esclude da sé. Nella vita etica, l’uomo si sottopone ad una forma, si adegua all’universale e rinuncia ad essere l’eccezione. La vita etica è raffigurata dalla figura del marito (l’Assessore Guglielmo) e dall’elogio del matrimonio. E’ l’uomo che sceglie se stesso, che in questa scelta afferma la continuità della sua vita, l’impegno e non la fuga dalle responsabilità; in una parola, accetta la ripetizione. Essa è la possibilità di riconfermare il passato, accettando ogni volta e in modo nuovo di amare la stessa donna, di avere gli stessi amici, di esprimersi nella stessa professione. La ripetizione indica la serietà della vita, è il coraggio etico della vita.
LA VITA RELIGIOSA
La vita religiosa, la fede, va al di là dello stesso ideale etico della vita. Il simbolo della fede è visto da Kierkegaard nella figura di Abramo (cfr. Timore e tremore, 1843), perché egli accetta il rischio della prova impostagli da Dio, accetta il rischio di porsi di fronte a Dio nel silenzio e nella solitudine, come un singolo di fronte all’Altissmo. La fede va al di là della stessa morale perché Dio ordina ad Abramo di sacrificargli il figlio, quindi di commettere un omicidio. Come poter accettare una simile prova? Ma la fede consiste proprio in quel rischio, nell’accettazione del paradosso e della prova. L’atto di fede implica una rottura recisa con la razionalità ed esige il passaggio, il salto, ad una sfera che è incommensurabile con la ragione naturale. L’oggetto della fede urta contro la ragione che pretende di spiegare e di esaurire tutto e non ammette nulla sopra di sé: per essa, che non vuole credere, l’oggetto della fede è un assurdo. Per il credente, che ammette la trascendenza ed è convinto che a Dio nulla è impossibile, esso è un paradosso. Il paradosso nella verità religiosa dipende dal fatto che essa è la verità così come lo è per Dio.Qui si usano una misura ed un criterio sovraumani, e rispetto a questo una sola situazione è possibile: quella della fede. Proprio per il paradosso come tale il credente è portato a credere, e non per una evidenza logica. Kierkegaard esprime questo con la formula: "Comprendere che non si può né si deve comprendere".Lo scandalo è per Kierkegaard il momento cruciale nella prova della fede, il punto di resistenza e perciò il segno della trascendenza della verità cristiana di fronte alla ragione. Lo scandalo indica il soccombere della ragione perché è il rifiuto di "comprendere di non comprendere", giacché la ragione vuole solo comprendere.
Per Kierkegaard l’origine dello scandalo nasce dal fatto che l’uomo non si pone come "Singolo davanti a Dio", e cioè non accetta la misura di Dio. Quando ci poniamo davanti a Dio non c’è più spazio per finzioni, mascheramenti, illusioni, vi è innanzitutto la scoperta che "c’è un’infinita abissale differenza qualitativa tra Dio e l’uomo", e cioè che l’uomo non può assolutamente nulla, che è Dio a dare tutto.
Ma oltre a questo si tratta, nel Cristianesimo, di ammettere che Dio stesso si è messo in rapporto con l’uomo, che Dio è entrato nel tempo, che l’Eterno si è incarnato in un uomo, e questo dà scandalo! L’oggetto dello scandalo è proprio la figura di Cristo, cioè è scandaloso credere che un uomo singolo sia Dio, che Gesù sia Dio.
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