di Marco Barabotti - Il Tirreno.
Una Tirrenia ordinata, pulita, effervescente. Era così, almeno fino ai tempi dell'Ente Tirrenia, ahimè sciolto nel 1982. Allora era già sparito da diversi anni il sogno del cinema: di quella avventura nata al tempo del Fascismo, in alternativa a Cinecittà e che aveva fatto la fortuna di questa cittadina balneare, ma anche di un po' tutto il litorale. Travolta dalla speculazione edilizia, quella che era una immensa pineta è stata piano piano ingoiata dal cemento: quello cosiddetto "buono" dei campi da golf, alberghi moderni, poi residence con appartamenti e impianti sportivi. Il "Calambrone horror" delle colonie abbandonate si è riavuto con il recupero di buona parte di esse. Ma non ha compensato, almeno per ora, quel cicaleccio del trammino rosso tra Pisa e il litorale, in vita sino ai primi anni Sessanta - anche se vi sono tremuli singulti di riportarlo in vita - che era la spina dorsale di un turismo proletario vivo e incessante. Gli alberghi sono i soliti di trent'anni fa, il mare anche se ha la bandiera blu non è più lo stesso. La decadenza si legge anche nella natura in generale: negli alberi sempre più radi e violentati dall'aerosol, nelle strade sconnesse e piene di erbacce che quando piove si trasformano in paludi. La speranza ora è nel porto a Marina: nella sua capacità attrattiva, con la progressiva scomparsa dei resti di una brutta archeologia industriale, per far posto a una sorta di villaggio marinaro post moderno, dove avanza il cemento che cancella gli ultimi angoli dei fasti d'inizio Novecento, di una Marina cosmopolita e meta di intellettuali, musicisti e scrittori. Meno male che si è salvata almeno la palazzina, oggi sede della società del porto, teatro del contrastato amore tra Gabriele D'Annunzio ed Eleonora Duse. A Tirrenia non è rimasto neppure l'unico locale notturno di un certo stile e richiamo, il Tennis Club poi Caminetto, lasciato colpevolmente morire. Questo locale è stato l'emblema della Tirrenia più viva di sempre, tra gli anni Sessanta e Settanta, meta di grandi attrazioni nazionali e internazionali. Nato come impianto sportivo (apparteneva all'Ente Autonomo Tirrenia), era stato il centro della vita mondana sul litorale pisano. E non solo in estate, perché, era dotato di un parterre che poteva ospitare centinaia di persone anche in inverno. Il suo "mago" era Roberto Trebbi, scomparso l'anno scorso. Il locale si impose sullo scenario nazionale. A Tirrenia si esibirono nomi celebri della musica leggera di allora: Mina, Fred Bongusto, Peppino di Capri, Umberto Bindi, Gino Paoli, Carosone, Johnny Holliday e Silvie Vartan. Tanto che divenne un locale alla moda, entrando perfino in rotta di collisione con la "Bussola" di Sergio Bernardini. Il locale morì, perché perse la "battaglia dei rumori" coi residenti: si preferì, insomma, la pace notturna di questi ultimi, affossando l'unico vero volano dell'economia tirreniese. Neppure un centro Coni di fama internazionale riesce a produrre una ricaduta turistica. A tenere in vita Tirrenia e il Calambrone sono rimasti i pendolari pisani e livornesi che d'estate prendono d'assalto le spiagge. Ma non più con la verve di una volta: è un mordi e fuggi col portafoglio sempre più leggero che ingenera insicurezza, che cancella quella voglia matta di vivere un'estate spensierata. Somigliamo un po' tutti a questi pini intristiti.
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7 agosto 2010